BARATTI - Come per la regata di Riva del Garda anche per la terza nazionale Fireball pianifico una partenza intelligente: una settimana di ferie all’Argentario, finita la quale avrei fatto prua con moglie e figlio su Baratti.
Come spesso succede le azioni di coraggio demenziale non rimangono impunite: pochi giorni prima della partenza il titolare della mia azienda (anch’egli velista, alla faccia dello spirito di corpo), mi nega le ferie concordate da tempo. Il cambio di boa comporta qualche effetto collaterale sia sul mio ruolo ricoperto a bordo (divento autista per accompagnare il resto della famiglia, graziato da capi meno sbadati del mio, in vacanza) che sulla mia rotta personale (rientro a Milano in treno). Nella settimana ex vacanza registro il primo di quei fenomeni proustiani con mi sollazzeranno per tutto il week-end, in acqua e fuori: evito di esplodere contro un’irragionevole collega perché il ricordo atavico di un’osservazione fattami anni fa (“ognuno ha il lavoro che si merita”) ha la meglio.
Il segnale di avviso di Trenitalia del venerdì sera non collima con le mie esigenze professionali e vengo dirottato su un treno del giorno dopo: la partenza da Milano Centrale è prevista alle cinque di mattina, prendere o lasciare. Questa volta la reminiscenza è ancora più ancestrale: un’interrogazione di latino in secondo liceo dove tradussi correttamente “multo mane” (di buon mattino), raggiungendo un sei tanto striminzito quanto soddisfacente.
Chiudere la porta di casa alle quattro e mezza ha il vantaggio di ricordarmi, parafrasando il libro di Ernesto Che Guevara, l’anno nel quale mi alzai presto: per essere in ufficio alle sei e mezza e poter uscire in tempo per recuperare mio figlio alla materna ero in piedi poco dopo le cinque. Il tutto per dodici mesi consecutivi (ne sarebbero bastati dieci, ma volevo arrivare all’anno tondo. Credo sia un fenomeno ben descritto sotto la voce “masochismo”).
Il tragitto in bici fino alla stazione centrale mi permette di incontrare i rimasugli del popolo della notte, personaggi che, complice il caldo umido, ben figurerebbero a fianco di Walter E. Kurtz di “Apocalipse now”. Il povero colonnello mi ricorda che la sceneggiatura del film di Francis Ford Coppola si ispirava ad un racconto lungo di Conrad, al quale invidio da sempre una fulminante battuta (“Come faccio a convincere mia moglie che quando guardo fuori dalla finestra sto lavorando?”) che, al contrario del resto del mondo, inserisco nella categoria “scene da un matrimonio”.
Il treno Firenze-Piombino è ben frequentato: nel mio scompartimento fa bella figura una sessantenne con i capelli bianchi e i tatuaggi neri (uno di quei casi nei quali permutando l’ordine dei fattori il prodotto cambia). È intenta a convincere il marito (la cui epidermide è stranamente priva di opere a china… avrà avuto altre qualità) ad accompagnarla al Chiostro degli Uomini (Istituto degli innocenti), per un recital del titolare della cattedra di fischio musicale a Pisa. Trattengo a stento un gesto a tema (= fischio di ammirazione) solo perché capitombolo in un ricordo di Alessandro Alessandroni (maestro anche lui), l’autore del fischio nelle musiche dei film western di Sergio Leone: quando lo chiamavano per registrare l’invito era chiaro e perentorio (“Alessà, viette a fa ‘na fischiata!”).
L’appartamento a Piombino è di alto livello: terzo piano senza ascensore, camera da letto con televisore non collegato, la cucina con due frigoriferi impilati uno sopra l’altro. Dulcis in fundo il piano cottura, in grado di fare la felicità del più esigente artificiere delle forze speciali nazionali. Questo paesaggio mi riporta ad una cena di tanti anni fa a Roma, a casa di un trovarobe (un ruolo fondamentale nelle produzioni cinematografiche): tutta arredata anni sessanta, compresa l’Alfa GT Iunior (rigorosamente lasciata aperta con le chiavi inserite nel quadro perché “se te la rubano è destino”) parcheggiata in giardino. Non mi sorprendo che la Carrà abbia deciso di sceglierla (la casa, non l’auto) per girare un suo video musicale.
La via (di Piombino, non di Roma) è rallegrata da un inquietante cartellone pubblicitario: uno slogan rivedibile (“acconciature stile giovane”, “per l’uomo che ha stile, per l’uomo sempre giovane”) è accompagnato da un volto a metà strada tra un Jocker con i capelli corti e un Pinguino appena uscito da un’abbuffata di aringhe
L’autore deve essere stato un affezionato lettore della rubrica de L’Espresso “separati nella culla”, della quale ricordo ancora l’articolo sulle inequivocabili somiglianze tra Arafat e Ringo Starr.
Una volta arrivati al circolo abbiamo le prime amare conferme (manca il poster della regata come nel 2020) e qualche aspra sorpresa (non ci sono le magliette, al contrario del 2020). Siamo 14 Fireball iscritti e 13 in acqua: all’appello manca Cocuzza, da capire se si è divertito troppo a Riva del Garda oppure la crescita dei suoi baffi lo ha sfinito.
Manca la nave dei pirati di due anni fa e la mia rechercher del Moneikos (4 ponti, piscina, elicottero, due ascensori, 12 persone di equipaggio) è meno fortunata di quelle di Proust. Poiché l’armatore di questo 62 metri mandava il figlio in una scuola pubblica perché “deve vivere una vita normale finché è possibile”, volevo avere suggerimenti su quale istituto scegliere per il mio.
Stefano ha cambiato (felicemente) la carrucola in testa della drizza spi e (meno felicemente) la posizione della maniglia della pompa spi, con il risultato che la drizza non si strozza e il sopracitato assume l’indegno compito di ancora galleggiante. L’inciampo nel ricordo della mia uscita in Strale di qualche anno prima è immediato: insultai la barca per tutto il tempo (“ho capito perché ha perso i trial organizzati dall’ISAF per scegliere il doppio olimpico: è una barca faticosissima”) prima di accorgermi di aver montato il bozzello scotta randa al contrario.
La domanda della verità a Tentoni (“sei ricco?” “potenzialmente”) mi ricorda una barzelletta ebraica (un ebreo sorprende un suo conoscente che piange come un vitello al funerale dell’uomo più ricco del villaggio: “Perché piangi, non eri mica un parente!”, “Appunto!” risponde lui) letta poco tempo prima per soddisfare l’insana curiosità di mio figlio, non soddisfatto di quelle per i bambini (“Mamma, mamma ho paura del buio!”, “non ti preoccupare, ora chiamo l’orco che ti accende la luce!”).
Mori è sorpreso dalla mia muta lunga (“sei pronto per un’immersione?”), non sapendo (è anche vero che, non essendoci stato, non poteva ricordarlo) che la mia ultima immersione è stata al Circeo, pochi minuti dopo aver visto un paio di metri abbondanti di pescecane liberato da una rete e ributtato in acqua. Da diverso tempo le uniche bollicine che frequento sono quelle della gassosa, che chiamo Sprite perché dopo la regata di Chiavari del 2009 venni insultato in pizzeria (“non l’abbiamo, ma qui vicino c’è la bocciofila”).
Le tre prove di sabato filano via lisce: nessuna partenza mure a sinistra, quasi tutti navigano sul lato sinistro del campo, quasi sempre i giudici spostano la boa di bolina. Io mi comporto come si deve e solo alla terza prova mi accorgo che la barca giuria ci mostra i gradi bussola.
I primi tre equipaggi in classifica (Stefanini-Borzani, Zorzi-Bordon, Brescia-Puppo) sono dei cannibali e occupano il podio in tutte le tre prove. Unici infiltrati Letizia e Francesco, terzi nella prima regata
Noi in coda al gruppo, a dimostrazione che le intuizioni di due anni fa (arrivammo quarti in una prova) non sono state rivisitate dagli odierni ragionamenti. Mio figlio è più sorpreso di me:
“sei arrivato primo?”
la mia risposta negativa non scoraggia il mio primo tifoso:
“secondo?”
mi faccio coraggio e gli dico la verità:
“no, penultimo”
La sua esclamazione
“Miezzeca”
è la stessa battuta di Pedro Tomeo (Manuel Zarzo) in “Riusciranno in nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa” (il mio film preferito) quando scopre il valore del Caligo Prometeus (non fornisco ulteriori spiegazioni per convincervi a vedere il film).
Il colpo di scena di sabato sera è il benvenuto: la Domenica avremmo disputato tre prove invece di due.
Prima di cena c’è ancora vento e il flusso di pensiero investe (senza fargli male) mio figlio, che, memore del mio (“c’è vento, saranno contenti i velisti” declamato nei posti più improbabili (parco Baden-Powell a Milano, montagne di Lecco, parcheggio del supermercato Esselunga di Buccinasco) replica alla mia inflazionata battuta
“E non pensare ai velisti, che ci sono già!”
La quarta prova è fatale sia a Stefanini-Borzani che a Brescia-Puppo, che “con la serena incoscienza dei predestinati” (come direbbe Gianni Clerici) vanno in OCS. Con i gatti del bordo dei miracoli fuori gioco ballano Zorzi-Bordon (primi), Fiore-Fiore (secondi), Mori-Gillone (terzi), Maero-Tentoni (quarti con l’unico spi a tema, dove due topi degni della sentina del naviglio dei Pirati dei Caraibi si fronteggiano con gli occhi iniettati di sangue).
Le ultime due prove ristabiliscono ruoli e responsabilità, con le conferme di Fiore-Fiore (terzi nell’ultima prova) e Minoni-Ascoli (sempre nei primi cinque sia Sabato che Domenica).
Noi registriamo un decimo posto come miglior risutalto: Stefano vede il bicchiere mezzo pieno (“hai visto non eravamo lontani da Dinale”) mentre io mezzo vuoto (“si, il problema era che Dinale era lontano dal resto della flotta…”).
Subisco anche questa volta le domande ingenue di mio figlio (“come sei arrivato?”, “penultimo”, “ancora?!?”), che mi fanno inciampare sui ricordi della formidabile stagione agonistica 2019, quando il minore era troppo piccolo per godere appieno dei diciotto ultimi posti consecutivi del padre.
In coda per lavare le barche riusciamo a tornare ai dialoghi sui massimi sistemi che tanta gloria hanno garantito alla classe Fireball: con Dinale si parla delle protesi valvolari cardiache. Quando scopro che quelle biologiche vengono ricavate da maiali appositamente allevati, vengo catapultato indietro di vent’anni, quando ero consulente per i servizi cimiteriali del comune di Trieste. I cimiteri cittadini (troppo piccoli) e la normativa (sul numero minimo di anni, venti, necessario per spostare i vecchi ospiti e fare posto ai nuovi andati) costrinsero gli organi responsabili a sperimentare su una cavia una metodologia che velocizzasse il processo di demineralizzazione. Il rappresentante del mondo animale più vicino all’uomo fu anche in quel caso identificato nel maiale, a dimostrazione che la battuta dell’inorridita signora inglese (“Mio Dio, discendiamo dalla scimmia? Speriamo che non si sappia in giro!”) continua ad avere la meglio sulle teorie darwiniane.
Mentre disarmiamo i discorsi si fanno meno seri, arrivando a ricordi ancestrali degni di John Ford: l’osservazione sul traffico di Roma (“a Roma guidate in modo veramente pericoloso”) risveglia le rimembranze di un siparietto di dieci anni fa tra il sottoscritto, angosciato dalla mancanza di buon gusto della capitale (“non è possibile, questa non è una città. Questo è il Far West!”) e un collega irpino-tedesco (“No, questa città non è il Far West…. Nel far west ogni tanto lo sceriffo passava”)
Tutto torna la settimana dopo, quando ad Andora Stefano incontra un altro appassionato di letteratura francese somigliante come una goccia d’acqua a quel Tita medaglia d’oro per caso alle ultime olimpiadi. Quando gli confida che in regata fa esattamente le stesse cose che facciamo noi, un altro ricordo liceale prende il sopravvento: il sillogismo
- Il campione olimpico Ruggero Tita in regata fa le stesse cose che fanno Pecchenino-Rondelli
- Pecchenino-Rondelli arrivano sempre negli ultimi tre posti
- Pecchenino-Rondelli regatano contro velisti più forti di quelli contro i quali si confronta Tita
conferma che il cervello serve a crearti degli ammortizzatori sociali (non è mia ma di Gianluca Nicoletti, al quale, dopo un incontro con una psicologa previsto il prossimo settembre, sospetto mi legherà la diagnosi di sindrome di Asperger).
Se Andora è ben frequentata, Anzio non lo è da meno: una radio del litorale laziale passa una canzone di Ligabue (il cantautore, non il pittore) inequivocabile sia nella forma che nei contenuti:
Non dovete badare al Cocuzza
quello coi baffi da pornostar
un prodiere che è serio soltanto per scherzo
Soltanto nel caso che Zelda non si arrabbierà
Non dovete badare a Carletto
Lo sappiamo i bordi che fa
Guarda solo la faccia che ha quando è in barca
Ci siamo capiti che razza di discolo è
I Fireball planano
Leggeri con i loro spinnaker
E dopo la partenza vanno
Certe vittorie svaniscono
Veloci come erezioni
E come quelle sfumano
Non dovete badare a Caparezza
Quello lì che si crede in Star
Quello lì che ogni tanto non parte mura a dritta
E una volta strambato mai più si volterà
Certi incroci passano
brividi da togliere il fiato
E chi è dietro poggia
Certe scie scompaiono
Veloci come i rafficoni
E sei non stai attento scuffi
Non dovete badare al Cocuzza
lui si iscrive e poi non ci va